21 de agosto de 2016

45 tweet per ricordare “Uno, nessuno e centomila” (Pirandello)

  1. Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente.
  2. Le mogli? Fatte apposta per scoprire i difetti del marito.
  3. Non conoscevo bene neppure il mio stesso corpo, le cose mie che più intimamente m’appartenevano: il naso, le orecchie, le mani, le gambe.
  4. La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno.
  5. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.
  6. Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d’essere per me, chi ero io?
  7. Per gli altri che guardano da fuori, le mie idee, i miei sentimenti hanno un naso.
  8. Gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo.
  9. Una maledetta voce mi diceva dentro, che era là anche lui, l’estraneo, di fronte a me, nello specchio.
  10. Eppure, io ero per tutti, sommariamente, quei capelli rossigni, quegli occhi verdastri e quel naso; tutto quel corpo lì che per me era niente.
  11. Siate sinceri: a voi non è mai passato per il capo di volervi veder vivere.
  12. Il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite.
  13. Non ci si vive più così per vivere, come queste piante, senza saper di vivere.
  14. Ma chi sa, forse gli alberi, per crescere, hanno bisogno di silenzio.
  15. Perché quel suo Gengè esisteva, mentre io per lei non esistevo affatto, non ero mai esistito.
  16. Vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io, non essendo io propriamente nessuno per me.
  17. Tanti Moscarda quanti essi erano, e tutti più reali di me che non avevo per me stesso.
  18. V’assicuro che difficilmente potrebbe immaginarsi una creatura più sciocca di questo caro Gengè di mia moglie Dida.
  19. Non riuscivo davvero a riconoscere per miei i pensieri, i sentimenti, i gusti ch’ella attribuiva al suo Gengè.
  20. Ella parlava col suo Gengè. E questi le rispondeva per bocca mia in un modo che a me restava al tutto ignoto.
  21. Era certa certissima che al suo Gengè piaceva meglio pettinata in quell’altro modo, che non piaceva né a lei né a me.
  22. In ogni mio atto interpretato da ciascuno a suo modo, sempre c’erano per gli altri impliciti il mio nome e il mio corpo.
  23. Notare, dico, che per gli altri non dànno e non possono dare a questo padre quella stessa realtà che noi gli diamo.
  24. Tempo, spazio: necessità. Sorte, fortuna, casi: trappole tutte della vita. Volete essere? C’è questo. In astratto non si è.
  25. Sono una prigione e la più ingiusta che si possa immaginare.
  26. Il Moscarda dell’uno non è il Moscarda dell’altro; credendo di parlare d’un Moscarda solo, che è proprio uno.
  27. Non m’era ancora avvenuto di dubitare di quella corroborante provvidenzialissima cosa che si chiama la regolarità delle esperienze.
  28. Usurajo! usurajo! Perché io sono lì, presente, apposta, allo sfratto, protetto da un delegato e da due guardie.
  29. Avevo voluto dimostrare, che potevo, anche per gli altri, non essere quello che mi si credeva.
  30. Come un cieco davo il mio corpo in mano agli altri, perché ciascuno si prendesse di tutti quegli estranei inseparabili che portavo in me quell’uno che ero per lui.
  31. La gente mi guarda. Ha questo vizio, la gente, e non se lo può levare.
  32. Nei miei occhi non c’era veramente una vista per me, da poter dire in qualche modo come mi vedevo senza la vista degli altri.
  33. S’apparecchiava in quel salotto, fra quegli otto che si credevano tre, una bella conversazione.
  34. Usurajo ero sempre stato, sempre, da prima ancora che nascessi?
  35. Finiscila tu, col tuo Gengè che non sono io, non sono io, non sono io! Basta con codesta marionetta!
  36. Finalmente! Non più usurajo (basta con quella banca!): e non più Gengè (basta con quella marionetta!).
  37. Ma che altro avevo io dentro, se non questo tormento che mi scopriva nessuno e centomila?
  38. E per me, così fuori degli altri, l’assumerne uno diventa subito l’orrore di questo vuoto e di questa solitudine?
  39. Mi pare d’aver dimostrato a sufficienza che la realtà di Gengè non apparteneva a me, ma a mia moglie Dida che gliel’aveva data.
  40. Possono indurvi a riconoscere che più vera della vostra stessa realtà è quella che vi dànno loro.
  41. Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire.
  42. Lei sta tanto a mirarsi in codesto specchio, in tutti gli specchi, perché non vive (…) Vuole troppo conoscersi, e non vive.
  43. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso.
  44. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo.
  45. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni.

Luigi Pirandello
Uno, nessuno e centomila
1926

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